Non siamo più nella Società Industriale, quella basata sul patto-conflitto tra capitale e lavoro salariato.
Siamo nell’arco di un passaggio radicale, una netta mutazione di paradigma: cambia la chiave di violino davanti al pentagramma evolutivo. E ciò riguarda non solo gli assetti produttivi e sociali ma quelli educativi e culturali.
Sta cambiando qualcosa di strutturale: il nostro modo di percepire il mondo, l’idea di spazio e di tempo, ad esempio. E’ vero o no che il web si sta rivelando il nuovo spazio pubblico?
Lo stesso brainframe alfabetico, come lo ha definito Derrick De Kerckhove, non è più sufficiente ad abbracciare la complessità delle fonti informative. E non è solo un fatto che riguarda la ridondanza della “civiltà dell’immagine”. Un concetto, quest’ultimo, incardinato nelle logiche del secolo scorso, basato ancora su società di massa e mass-media.
La nuova complessità riguarda la simultaneità delle informazioni, le loro connessioni combinatorie, le dinamiche della rete e per essere più precisi le dinamiche partecipative del web 2.0 e del social networking, dove le informazioni sono sempre più innervate alle relazioni.
Ma come si può lasciare tutto questo sviluppo radicale della Società dell’Informazione in mano alle grandi corporate del software, della cross-medialità e dei social networking automatici e pervasivi come Facebook?
Nativi digitali
C’è ancora qualcuno che snobba la “tecnologia” come se fosse qualcosa per addetti ai lavori informatici? Ciò sottovaluta il fatto che i nuovi linguaggi digitali scandiscono sempre più le dinamiche sociali e, ciò che è più urgente, condizionano l’immaginario di nuove generazioni. Queste stanno crescendo da sole, centrifugate da automatismi, perse nelle reti che rispecchiano in modo distorto la vita sociale. Senza l’opportuna attenzione culturale che coniughi i saperi sedimentati con le nuove attitudini ipertestuali dei “nativi digitali”.
Il futuro di un Paese si misura sulla capacità del sistema di stimolare il potenziale creativo delle nuove generazioni. E quella creatività riguarda soprattutto l’ambientamento nei nuovi assetti psicologici e comunicativi creati dall’evoluzione tecnologica in atto.
Le generazioni-ponte devono creare le condizioni adeguate perché questo accada in un processo evolutivo della coscienza culturale, interpretando le accelerazioni tecnologiche in relazione alle mutazioni antropologiche.
E’ questo uno dei punti cardine della grave crisi di passaggio che stiamo vivendo, in cui la recessione economica rischia di annichilire le attenzioni per la ricerca.
Eppure la proiezione nel futuro deve rivelarsi come una risorsa da ridistribuire.
Avete presente quella frase di William Gibson?
“Il futuro è già qui. E’ solo mal distribuito”.
Homo ludens
Un Paese che non scommette sul proprio futuro è un Paese che non ha prospettive ed è destinato ad invecchiare e ad esaurire la forza motrice del proprio sistema, vanificando quella creatività originaria che riguarda la capacità d’inventare soluzioni efficaci nelle condizioni impreviste.
Sembra proprio sia il caso del sistema Paese Italia dove molti pensano che la creatività sia solo una questione di belle arti.
Eppure tutti dovremmo preoccuparci del futuro, perché là dobbiamo passare il resto della nostra vita.
Ma quanti si sono fermati, magari arroccati nell’autocompiacimento di ciò che già sanno e già fanno? Quanti non sopportano di trovarsi a disagio con un mouse? O temono la dispersione delle capacità di attenzione, parametrata sullo sviluppo lineare di un testo, di fronte alla dinamica non-lineare di un ipertesto? Di quell’ipertesto d’ipertesti che è Internet?
Ambientarsi nella società delle reti significa, prima di tutto, porsi con umiltà ed impegno nel cercare di comprendere la modificazione di quegli assetti psicologici e cognitivi che per quanto si siano fondati sulla struttura alfabetica oggi sono sempre più proiettati nell’infosfera audiovisiva e nell’interattività.
In questo senso sarà importante occuparsi di armonizzare il thesaurus delle nostre conoscenze con i sistemi della comunicazione multimediale, senza spaventarsi per ciò che c’è da perdere nel passaggio da un paradigma cognitivo a un altro. Sì, qualcosa da perdere c’è. Rassegniamoci. Ma molto altro c’è da acquisire.
C’è, ad esempio, da operare perché le forme della comunicazione interattiva possano rivelarsi come opportunità di partecipazione alla nuova “res” pubblica espressa dalle reti, giocando la scommessa antropologica che sta alla base dello sviluppo della Società dell’Informazione.
Già Jeremy Rifkin (in L’era dell’accesso, Mondadori, 2000) ha affermato che si sta passando dall’homo faber della società industriale all’ homo ludens, agile nel selezionare le informazioni per tradurle in valore.
Gioco, dopotutto, é una delle parole chiave migliori per interpretare la flessibilità psicologica che sottende la mutazione in corso sotto il segno dell’evoluzione tecnologica.
Il gioco, in quanto motore della creatività, è il concetto che possiamo quindi permetterci di porre in stretta relazione con la comunicazione, nuova materia prima della società delle reti. Il gioco è il principio attivo di quella complessità interpersonale che conduce verso il superamento dei ruoli prestabiliti e delle competenze stabilizzate, in un mondo che sta mutando attraverso le promesse dei nuovi media.
Bricolage antropologico
Promesse che non si compiono da sole e che presuppongo un rilancio del gioco evolutivo, ludico e politico al contempo, secondo quel “bricolage antropologico” di cui parla Levi Strass, quando indica il modo di assimilare i concetti nuovi usando gli oggetti sparsi nell’ambiente da esplorare, procedendo senza schemi prefissati, ma lasciando alla manipolazione delle cose e delle idee le opportunità combinatorie.
Tale procedimento si basa sul principio della condivisione dell’esperienza conoscitiva. Cooperando con gli altri, attuando una sensibilità ludico-interattiva che pone al centro la serietà di un gioco che si traduce nel sapere fondato sull’esperienza diretta.
E’ quindi un errore grave lasciare il problema strutturale dell’Innovazione ai liberisti e alle tecnocrazie, preoccupati solo della scarsa competitività internazionale del nostro Paese.
Invece è chiaro: la questione dell’Innovazione non è solo tecnologica ma psicologica, riguarda prima di tutto i modelli educativi e, a ruota, tutto il resto.
Si tratta, insomma, di attuare quella Società dell’Informazione che non crea ancora mercato solo perché non ha sotto un motore sociale capace d’interpretarla.
Se nella Società Industriale è chiaro che la catena del valore sta nella trasformazione da materie a merci, oggi ci s’interroga (per chi sa quanto tempo…speriamo di non andare in malora prima…) dove stia la nuova scansione del valore. Andrebbe osservato con attenzione, magari sviluppando in via sperimentale alcune piattaforme di social networking territoriale o fortemente connotate tematicamente. Per verificare come in un sistema a rete si possano riorganizzare interessi micro e macro-economici, tra lobbies (più o meno virtuose) e capacità di auto-organizzazione dei territori (si pensi solo alle dinamiche della filiera corta o dei GAS-Gruppi d’Acquisto Solidale).
O qualcuno pensa che la ricchezza possa rimanere incardinata nel business delle telecomunicazioni (dove si creano enormi profitti ancora dalla fonìa che con i sistemi VoIP, come quelli di Skype, potrebbero essere azzerati di colpo) o della pubblicità televisiva?
Anche se interi distretti audiovisivi sopravvivono agganciati alle filiere televisive, quel sistema pervasivo dei mass-media che ha caratterizzato la Società dei consumi di massa è al lumicino.
In molte nazioni l’intero sistema del marketing sta già migrando verso il web. Questo è l’indicatore di come si stiano riposizionando gli assetti economici e di conseguenza quelli politici connessi alle concentrazioni editoriali cross-mediali. E’ per questo che è importante riflettere sulla nuova fase di Internet e di come vi convergano le politiche che segnano le dinamiche del cambiamento.
Web nuovo spazio pubblico
E’ fondamentale per questo iniziare a considerare il web come il nuovo spazio pubblico, dove è determinante promuovere dinamiche partecipative, per preservare il bene comune, perché sia fondato sulla redistribuzione delle risorse informative.
E’ in questa direzione che va interpretato ciò che viene definito web 2.0, ovvero il rilancio della rete grazie alla partecipazione diretta degli utenti. Sono proprio i cosiddetti user generated content (i contenuti generati dagli utenti) a scandire questa evoluzione che presuppone una nuova consapevolezza dei sistemi della comunicazione, non più a senso unico.
In questa dinamica partecipativa è possibile vedere, con l’ottimismo della volontà, lo sviluppo tecnologico del web emancipandolo dalla mera logica tecnocratica del mercato (ancora aleatorio) per orientarlo verso la dimensione sociale.
In questo senso va considerato il boom del social networking (su cui si sono orientati i maggiori investimenti, come My Space comprata da Murdoch per 580 milioni di dollari e You Tube per più di un miliardo e mezzo da Google, per non parlare di Facebook che sta sbaragliando tutti) come il nodo da sciogliere per declinare quel “social” in una potenzialità veramente sociale, orientata cioè verso nuove forme di auto-organizzazione che agiscano nel territorio.
Un esempio cardine è quello dei Meet up, la molteplicità di forum interconnessi al blog di Beppe Grillo, che hanno reso esplicita la potenzialità della rete, nel tradursi in azione politica ( affermando quanto il social networking si possa rivelare come nuova forma di azione co-operativa), raccogliendo centinaia di migliaia di firme in poche settimane, per denunciare la presenza in Parlamento di decine dì inquisiti.
Performing Media
Non c’è dubbio, la battaglia politica si estende sempre più nel web e il successo di Barack Obama lo conferma.
Ma sia chiaro, non è solo questione di propaganda o fund raising, bensì di antropizzare la rete: portare l’impronta dell’uomo e delle comunità attive nel web inventando nuovi format di comunicazione interattiva. Rivelando come l’interattività si possa tradurre in nuova interazione sociale, dando forma e dinamica relazionale a contenuti che trattino della vita culturale e della trasformazione sociale.
Format che ridefiniscono il rapporto tra politica e poetica, come quelli che definisco di performing media, nell’interazione tra reti e territorio (geoblog, mobtagging, interaction design urbano). Pratiche che fanno parte di una sensibilità diffusa nelle nuove generazioni che operano nel web, rilanciando un concetto di creatività che tendo ad accostare a quello suggerito dal matematico francese Jules-Henri Poincaré: “Creatività è unire elementi esistenti con connessioni nuove, che siano utili”. E penso a quanto questo suggerimento sia decisivo per capire il fenomeno del “mash up” in Internet, implementando diverse applicazioni, plugin, su operatività che rilanciano il principio open source nel senso lato del termine.
La questione della creatività, come ho già detto, non riguarda, infatti, solo l’espressione artistica dei linguaggi ma la capacità di ambientarsi in nuovi contesti, come oggi è quello del web, il nuovo spazio pubblico. Il nuovo luogo dello scontro con i poteri cristallizzati e dell’incontro con le nuove generazioni.
Un ambiente da antropizzare in via direttamente proporzionale al nostro desiderio di mondo possibile, inventando nuovi modi di “comunicare con” (a differenza del “comunicare a”), reimparando a condividere la conoscenza e a renderla funzionale alla progettazione di futuro..
E’ questo il significato di quello slogan semplice ma strategico che risuona come quella vecchia canzone di De Gregori (che di fatto evoca, anche se preferivo Peter Hammill): la rete siamo noi.
Carlo Infante
carlo@performingmedia.org